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Verità e falsi miti sullo Stretching.

TECNICHE, EFFETTI, BENEFICI E LIMITI.


“Stretching” è un termine con il quale siamo ormai tutti familiari, ma nonostante il suo vasto utilizzo rimangono ancora molti dubbi e molti falsi miti sul suo impiego.

La parola “stretching”, dall’inglese “to stretch” (allungare) può essere tradotta appunto in allungamento, ed è usata per indicare pratiche ed esercizi anche molto diversi tra di loro, che hanno però in comune la messa in tensione di una o più componenti dell’apparato locomotore.

Nonostante al momento non sia stata dimostrata scientificamente la sua efficacia, lo stretching è spesso raccomandato dai professionisti sanitari, inserito nella pratica sportiva o in una routine di esercizi, con l’obiettivo di aumentare le flessibilità muscolo-fasciale e/o la mobilità articolare.

Ad esempio, nelle modalità e nei tempi giusti, lo stretching può essere utile in caso di tensione o contrattura muscolare , rigidità articolare localizzata o diffusa, dolore miofasciale, oltre che per un generico miglioramento della performance nelle attività che richiedono molta flessibilità e nella prevenzione degli infortuni.



Chiarito il significato del termine, andiamo a scoprire alcuni falsi miti e credenze sull’allungamento:



1) Esiste un solo tipo di stretching


FALSO! : Come detto prima, la parola stretching è un vero e proprio termine ombrello, che indica diversi tipi di messa in tensione.



· Stretching statico: è il più conosciuto: la posizione di allungamento viene raggiunta

gradualmente e mantenuta per circa 15-30 secondi.

· Stretching dinamico: consiste nell’allungamento di un muscolo attraverso movimenti attivi di ampiezza crescente

· Stretching ballistico: è caratterizzato dalla rapidità del movimento di allungamento

· tecniche di PNF (facilitazione neuromuscolare propriocettiva): sfruttano la contrazione e il rilassamento muscolare alternati durante l’allungamento.


Possiamo anche differenziare tra stretching segmentale, mirato a mettere in tensione una sola struttura (uno specifico muscolo) per volta, allungamenti che coinvolgono un gruppo più ampio di strutture muscolo-connettivali o addirittura stretching globale, che ha come obiettivo la messa in tensione di tutto il corpo.



2) È normale sentire dolore durante o dopo lo stretching


ASSOLUTAMENTE NO! : Lo stretching viene spesso guardato con sospetto perché viene percepito come fastidioso, e in alcuni ambienti, purtroppo, esiste ancora la convinzione che

forzare un allungamento nonostante il dolore sia utile

o necessario ad aumentarne l’efficacia.

In realtà, un buono stretching NON DEVE provocare dolore.

Certo, mettere in allungamento un muscolo provoca una sensazione di tensione, ma nello stretching praticato quotidianamente o nella pratica sportiva questa percezione dell’allungamento non deve mai coincidere con una sensazione spiacevole o dolorosa.

Percepire dolore durante l’allungamento potrebbe essere indice di un danno in atto o semplicemente un segnale di allarme del corpo, che in quanto tale deve essere rispettato, per cui è opportuno interrompere l’allungamento o quantomeno ridurre la tensione, e fare riferimento ad un professionista per chiarire l’origine del dolore.


ATTENZIONE: in alcuni contesti, sotto la supervisione di professionisti specializzati, può essere necessario Provare un po’ di dolore per ottenere l’allungamento di strutture molto rigide che diversamente non otterrebbero grossi benefici. Si tratta però di casi patologici (come può succedere nella spalla congelata o in seguito ad un intervento), e di vere e proprie manovre terapeutiche che devono essere per l’appunto eseguite da un fisioterapista.



3) Lo stretching va sempre bene


FALSO! : Nonostante sia molto consigliato e spesso si sente dire che “dovresti fare più stretching”, l’allungamento in alcune condizioni può essere, oltre che inutile, addirittura dannoso.


Questo può avvenire soprattutto se si pratica stretching da “autodidatti”.

In presenza di stati infiammatori e/o dolorosi l’allungamento eccessivo può esacerbare i sintomi, e in caso di danni strutturali dei tessuti (lesioni tendinee, muscolari o articolari, fratture, interventi recenti) il pericolo è quello di aumentare l’entità della lesione.

Inoltre, i soggetti con caratteristiche di ipermobilità devono stare molto attenti a praticare stretching: forzare un allungamento su un’articolazione già troppo mobile potrebbe finire per indebolire troppo capsula e legamenti, andando a creare una vera e propria instabilità articolare.



4) Lo stretching va fatto come riscaldamento prima di un allenamento o performance sportiva


NON PROPRIO: un buon riscaldamento prima di qualsiasi performance sportiva deve comprendere anche una sezione dedicata al raggiungimento di una buona mobilità articolare.

Come abbiamo visto, però, esistono diversi tipi di stretching e diverse condizioni in cui può non essere indicato.

In particolare, l’allungamento statico dei tessuti a freddo, cioè quando questi sono più rigidi, può aumentare il rischio di danni.

Per questo motivo lo stretching non dovrebbe essere il primo tipo di esercizio inserito in un riscaldamento.

Inoltre, è stato dimostrato che l’allungamento oltre ad una certa soglia riduce la possibilità dei muscoli di esprimere forza: ciò significa che per ottenere la stessa performance sarà necessario aumentare l’impiego muscolare, rischiando un maggiore affaticamento e potenzialmente aumentando il rischio di infortuni.


In conclusione…


Le tecniche di stretching possono essere molto utili per aumentare la mobilità e ridurre alcuni stati dolorosi, ma solo se praticate con consapevolezza e con le giuste precauzioni. In generale, un allungamento gentile e progressivo, a muscoli caldi e in assenza di dolore non è dannoso e può essere eseguito in sicurezza.

Se provi dolore dopo o durante lo stretching, sai di avere problematiche di ipermobilità o instabilità, o non sei sicuro di come e quando eseguire gli esercizi di allungamento, rivolgiti ad un professionista per sapere quali esercizi sono adatti a te e come risolvere il tuo problema!


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